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inquietanti, come può succedere quando si opera a due passi
dall’inconscio, il quale ha una certa propensione a salire a galla e ad
esplodere in bolle che qui sono di materia cromatica, portatrici sempre di
significati ulteriori che non solo a noi, ma anche all’autrice, è dato di
esplorare, osservare, descrivere, e forse mai di riconoscere per davvero. Si
misura in queste opere quanto ho riferito all’inizio riguardo alle idee di
Klee sulla natura della creatività figurativa: il coraggio della ricerca in
territori inesplorati, col solo bagaglio della propria arte.
Devo però ammettere che molto di quelle esperienze è presente anche
quando il discorso si fa più didascalico, sia per le tentazioni ricorrenti di
fuggire verso domini assoluti (penso ad esempio al dipinto “Venti di
mare”, trasposizione in un blu quasi onirico di un fenomeno atmosferico
ben noto ai langaroli, il “marin”, vento dispettoso e amico di fantasmi,
visioni, presenze), sia per visualizzare collegamenti fra temi narrativi
coerenti e compresenti, magari con uno scarto favolistico, una invenzione
suggerita da un nome, un luogo, un fatto forse vero o forse no (ricordo
“Chi ha perduto l'aquilone?”, in alto sulla Sacra di San Michele).
Cosa ci insegna oggi questo spericolato percorso fra i colori di Gabriella
Malfatti? Direi l’utilità di continuare a credere nel sogno, ad occhi aperti o
chiusi, con la metodica fiducia nell’esistenza di un altrove in fondo
accessibile perché inventato quotidianamente da una sola persona, ma
stranamente collegato per fili invisibili ad altri luoghi inaccessibili agli
occhi umani, seppure anch’essi permeati di visioni, di sogni, quelli di cui
Amleto aveva, chissà se giustamente o no, una paura nera.
Gabriella è questo ed è anche molto altro. Pronipote di un artista come
Mario Malfatti, scultore allievo di Leonardo Bistolfi ed abilissimo, fine
disegnatore, può con orgoglio vantare una familiarità giovanile con il
mondo dell’arte, quello per nulla trascurabile che vide alleanze ed
amicizie anche pittoriche di eccellenza (Nino Fracchia ad esempio), in
pendolarismo fra Mondovì e Torino. E non fosse altro che per dedurne e
confermarne la necessità per la vita, per tutta la vita, del possesso di una
qualità. E se Gabriella è anche cuoca sopraffina, scrittrice ed illustratrice
di ricette della tradizione, affabile narratrice di esperienze di vita, la
pittura le rimane come il suo vero mondo, perché, come scrisse il vecchio
Nietzsche, “una virtù è più virtù di due, perché è un nodo più forte
attorno a cui si aggrappa il destino”.
Walter Canavesio
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