Page 16 - 2015_Antologica
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inquietanti,  come  può  succedere  quando  si  opera  a  due  passi
               dall’inconscio,  il  quale  ha  una  certa  propensione  a  salire a  galla e ad
               esplodere in bolle che qui sono di materia cromatica, portatrici sempre di
               significati  ulteriori  che  non  solo  a  noi,  ma  anche  all’autrice,  è  dato  di
               esplorare, osservare, descrivere, e forse mai di riconoscere per davvero. Si
               misura in queste opere quanto ho riferito all’inizio riguardo alle idee di
               Klee  sulla  natura  della  creatività  figurativa:  il  coraggio  della  ricerca  in
               territori inesplorati, col solo bagaglio della propria arte.

                   Devo però ammettere che molto di quelle esperienze è presente anche
               quando il discorso si fa più didascalico, sia per le tentazioni ricorrenti di
               fuggire  verso  domini  assoluti  (penso  ad  esempio  al  dipinto  “Venti  di
               mare”, trasposizione in un  blu quasi onirico di un fenomeno atmosferico
               ben  noto  ai  langaroli,  il  “marin”,  vento  dispettoso  e  amico  di  fantasmi,
               visioni,  presenze),  sia  per  visualizzare  collegamenti  fra  temi  narrativi
               coerenti e compresenti, magari con uno scarto favolistico, una invenzione
               suggerita da un nome, un luogo, un fatto forse vero o forse no (ricordo
               “Chi ha perduto l'aquilone?”, in alto sulla Sacra di San Michele).

                   Cosa ci insegna oggi questo spericolato percorso fra i colori di Gabriella
               Malfatti? Direi l’utilità di continuare a credere nel sogno, ad occhi aperti o
               chiusi,  con  la  metodica  fiducia  nell’esistenza  di  un  altrove  in  fondo
               accessibile  perché  inventato  quotidianamente  da  una  sola  persona,  ma
               stranamente  collegato  per  fili  invisibili  ad  altri  luoghi  inaccessibili  agli
               occhi umani, seppure anch’essi permeati di visioni, di sogni, quelli di cui
               Amleto aveva, chissà se giustamente o no, una paura nera.

                   Gabriella è questo ed è anche molto altro. Pronipote di un artista come
               Mario  Malfatti,  scultore  allievo  di  Leonardo  Bistolfi  ed  abilissimo,  fine
               disegnatore,  può  con  orgoglio  vantare  una  familiarità  giovanile  con  il
               mondo  dell’arte,  quello  per  nulla  trascurabile  che  vide  alleanze  ed
               amicizie  anche  pittoriche  di  eccellenza  (Nino  Fracchia  ad  esempio),  in
               pendolarismo fra Mondovì e Torino. E non fosse altro che per dedurne e
               confermarne la necessità per la vita, per tutta la vita, del possesso di una
               qualità. E se Gabriella è anche cuoca sopraffina, scrittrice ed illustratrice
               di  ricette  della  tradizione,   affabile  narratrice  di  esperienze  di  vita,  la
               pittura le rimane come il suo vero mondo, perché, come scrisse il vecchio
               Nietzsche,  “una  virtù  è  più  virtù  di  due,  perché  è  un  nodo  più  forte
               attorno a cui si  aggrappa il destino”.

                                                                     Walter Canavesio






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